Una caratteristica basilare (La cosa che vorrei approfondire sono basilari) per definirsi “professionisti” del soccorso e quindi svolgere le vostre mansioni in modo sicuro, tutelato ed efficiente è la formazione all’utilizzo dei presidi che si trovano all’interno del vano sanitario. Questa avviene normalmente attraverso passaggio di nozioni diretto, dal “volontario esperto” al neofita in affiancamento, che in quel momento è una spugna che apprende e fa proprie tutte le informazioni che gli vengono date.

Il problema che ho riscontrato in tutta Italia è che questa trasmissione non avviene sulla solida base di un documento, rilasciato dall’azienda produttrice del presidio in questione, che lo ha studiato, progettato, messo in commercio e registrato (in questo contesto “medical device classe 1, non invasivo sul paziente) con ben definite e rigide modalità d’uso e impiego. Questo documento è lo stesso che verrà impugnato, nel caso, dal magistrato di turno che lo confronterà col vostro agire per individuare negligenze o utilizzi inappropriati da parte del personale di soccorso.

L’esecuzione di manovre, siano esse parte della routine operativa o meno, sbagliate o che addirittura arrechino danno al paziente non può quindi essere giustificato con un accorato “Me l’hanno insegnato così…”, visto che la responsabilità, ad esempio per negligenza, è personale.

 

È importante sottolineare che rientrano in questo caso anche i danni subiti dagli operatori stessi: anche le assicurazioni personali hanno avvocati!

Questo famigerato documento è niente meno che il “manuale delle istruzioni”, che permette al formatore di insegnare a utilizzare il presidio in modo preciso e corretto, senza inventarsi niente, e con le spalle coperte fin quando si attiene al testo fornito dall’azienda costruttrice, ancor meglio se quest’ultima è in grado di certificare l’avvenuta formazione sul presidio in esame.

Attenzione però: in caso di danno al paziente (o operatore!) dovuto a utilizzo inappropriato o negligenza nell’uso del presidio la responsabilità rimane personale, ma qualora il danno fosse causato da fattori non dipendenti dall’operatore e/o dal suo agire, avvenuto nel rispetto delle indicazioni scritte (ad es. si rompe la spinale..) non gli si potranno imputare le colpe di cui sopra.

Molto importante, avremo poi la certezza che quello che abbiamo fatto non ha di per se compromesso ne il paziente ne noi stessi.

I presidi maggiormente utilizzati e per i quali è necessaria buona manualità d’utilizzo visto lo scopo che hanno sono principalmente: Collare Cervicale, Tavola Spinale, Barelle a-traumatiche (diversa dalle famose “cucchiaio”, se non per la forma quasi simile, come vedremo di seguito), Materasso a depressione, Stecco bende, Sistemi di estricazione .

Per essere chiamati in questo modo, questi presidi devono essere corredati da un fascicolo tecnico che racchiuda i test che enti esterni hanno eseguito e certificato, manuali istruzioni in Italiano strutturati in modo dettagliato (non il solito foglio di carta fotocopiato davanti e dietro…), programmi formativi svolti da professionisti preparati e sempre aggiornati perché scienza e tecnologia, e le normative correlate, si evolvono di continuo.

Devono essere certificati con un numero identificativo (CE, Notify Body, Reg. Ministero della Salute e studi classi di invasività, ecc…), garanzia degli studi eseguiti sul prodotto, e supportati da programmi formativi che permettano ai formatori di insegnarne un uso corretto e, strettamente legato, forniscano “il perché” quel presidio è pensato per quell’utilizzo e realizzato in quel modo.

Esistono in commercio moltissimi prodotti non “armonizzati (???) UNI EN e senza CE, quindi senza i minimi requisiti essenziali di costruzione: semplici pezzi di plastica, ferro, legno, colorati e dalle forme talvolta accattivanti, ma sempre pezzi di plastica, ferro, legno, ecc…

I requisiti di cui sopra, sono molto importanti per uniformare il modo d’uso dei presidi, ma se le aziende non si adeguano, chi ci rimette quando succede qualche cosa di brutto siamo sempre noi operatori.

L’uniformità sulla scelta dei presidi e la formazione tecnica continua dedicata, permette di utilizzare e gestire al meglio i prodotti all’interno dei veicoli, evitando frasi che spesso mi tocca sentire come “è troppo difficile da utilizzare”, “ci vuole troppo tempo”, “non l’ho mai messo in 5 anni”, fino a ”boh non lo so come si usa!”

 

Queste quattro esclamazioni, evidenziano alcune cose: 

1) la formazione non è sufficiente e, soprattutto, non è dedicata alle esigenze del territorio

2) il personale è demotivato dall’approfondire i contenuti, e questo capita quando si formano i volontari con maggior frequenza di turni piuttosto che quelli del turno sporadico… e non va bene.

3) quando non si inserisce un “debriefing” dell’intervento visto da occhi diversi, con persone competenti ma esterne all’equipaggio come altri volontari, direttore sanitario, ecc..

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Le linee guida e le istruzioni operative in uso danno consigli, una traccia di quello che possiamo o dobbiamo fare senza uscire troppo dal seminato, ma non ci obbligano in nessun modo a prendere decisioni su quale tipo di presidio si deve utilizzare.

In letteratura sono riportate svariate manovre che ci permettono di immobilizzare con i soliti presidi pazienti con posture obbligate o deformazioni particolari, siano essi adulti o pediatrici, ma quello che realmente tutela noi e il paziente è la formazione specifica all’utilizzo tecnico fatta direttamente da chi ha prodotto il presidio.

Per esempio il materasso a decompressione è, a mio avviso, il presidio migliore per la gestione di un paziente “traumatizzato” in quanto contiene e non costringe, mantiene la posizione di reperimento o antalgica e garantisce una posizione neutra del rachide spinale, protegge termicamente, dissipa l’energie che sollecitano il paziente durante il trasporto, sia su veicoli a motore che su aeromobili, riduce il decubito e alcuni di questi presidi possono essere utilizzati anche come telo porta feriti. Il problema è che quando si deve decidere se utilizzarlo o no si pensa maggiormente a come va utilizzato e alle difficoltà pratiche che questo comporta più che alla tutela del paziente che ci si trova davanti.

Molte associazioni stanno cambiando: comprano le attrezzature, si occupano della formazione interna e solo dopo aver fatto acquisire a tutti la manualità necessaria per il loro utilizzo le mettono in servizio.

Questa cosa non è male ma è un inizio. Quello che si vuole ribadire è che se la formazione non viene fatta da chi conosce in modo approfondito il presidio, perché o lo ha costruito o studiato in modo dettagliato, non si potrà mai certificare un apprendimento adeguato per un utilizzo corretto dello stesso. Rimarrete quindi personale qualificato solo a metà e in modo approssimativo, allontanandovi sempre di più dal mondo del professionismo.

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Un’altro esempio calzante è la “barella atraumatica”. 

Sapete dirmi qual’è?

L’unica barella veramente a-traumatica, di una rinomata azienda internazionale che fa la differenza sulla qualità dei prodotti. Leggendo alcuni articoli, viene invece spesso identificata come la normalissima cucchiaio in alluminio, che da molti anni ormai non ha più i requisiti per essere utilizzata su pazienti “sanguinanti”, cioè ancora vivi, se non come mero presidio di spostamento (da un presidio a un altro) e NON di trasporto dall’evento fino all’ospedale..figuriamoci su delle rampe di scale!!

Le cose che non vanno con questa barella, così a braccio e senza entrare nel dettaglio, sono il materiale, l’ergonomia, la capacità di carico, la radio trasparenza, nessuna valenza clinica e nessuno studio, la decontaminazione, ecc…

La vera barella atraumatica è stata realizzata con tutti i requisiti sovra descritti, per permettere a tutti gli operatore di tutelarsi e di tutelare in modo semplice, efficace e soprattutto studiato i propri pazienti. Permette quindi con i suoi accessori di tutelare, con un’immobilizzazione scientificamente provata del rachide spinale, e trasportare un paziente poli traumatizzato: questo è un esempio di miglioramento della scienza e della tecnica.

La formazione tecnica, cioè quella formazione dedicata strettamente alle modalità d’uso dei presidi, si abbina a tutte le linee guida internazionali e nazionali che specificano in modo eccelso a cosa servono i presidi e come si potrebbero utilizzare. Questo però limita la manualità e la conoscenza ai soccorritori relativa allo specifico presidio; per esempio, in questi testi l’estricazione viene spiegata e illustrata identificando i punti cardine su cui si basa (posizionamento in asse della colonna, mantenimento del capo, rotazione coordinata ecc), lasciando all’operatore l’applicazione pratica con il presidio in dotazione, quindi senza specificare le particolarità che si possono trovare di fronte a certi pazienti o anche veicoli di nuova concezione. Di metodi per estricare un paziente c’è ne sono almeno 5, con tecniche e approcci particolari e peculiari, per semplificare la vita al soccorritore e tutelare il soccorso stessa cosa per quanto riguarda l’immobilizzazione su tavola spinale: vengono indicate quali masse vincolare all’asse, ma non come usare il particolare ragno o sistema a cinghie rapide per ottenere il risultato ottimale.

Questo è ovvio in quanto un testo che tratta il trauma preospedaliero non può affrontare ogni singolo presidio con ogni sua possibile applicazione: da qui la necessità di una formazione esclusivamente tecnica basata sul tipo di prodotto in uso, volta a farlo conoscere in ogni suo dettaglio, comprendendone limiti e possibilità d’applicazione per garantire al soccorritore la fondamentale manualità e sicurezza nel momento d’impiego.

Un altra grande difficoltà nel raggiungere la sicurezza da parte degli operatori, arriva anche dal sistema “primario di trasporto”, la barella.

Molti escono dal corso base senza mai aver toccato o capito a cosa serve e come si utilizza la barella di trasporto. Questo lo si nota dal come vengono caricati e scaricati i pazienti, dalle cadute accidentali, dalle sollecitazioni che si notano durante il caricamento e scaricamento, ma soprattutto dal modo in cui viene trasportato il paziente.

Le statistiche di caduta barella, evidenziate per lo più da “altezze di carico” non corrette, negligenze da parte degli operatori che non rimangono a contatto con il presidio sopratutto durante la fase di scarico, preclude un “eccitante tonfo pubblico”, dove la professionalità decade e si rende ridicola in luoghi dove la divisa del soccorso, deve essere protagonista in un altro modo.

Questa formazione, per esempio, non può essere svolta da personale che non lavora assiduamente in emergenza e che non ha avuto a sua volta una formazione specifica da professionisti dedicati alla formazione tecnica; perché non conosce le esigenze del veicolo, le diverse peculiarità del territorio e le caratteristiche tecniche del presidio che sta utilizzando.

Negli ultimi anni, sono state realizzate barelle con addirittura 2/3 sistemi che impediscono la caduta accidentale e da quanto ne sò, stanno funzionando molto bene, limitando le cadute in quelle fasi critiche di poca visibilità e poca esperienza dei soccorritori, che pur, non addestrati, si affidano alla semplicità delle barelle di trasporto con questi sistemi di sicurezza.

La barella di trasporto per esempio, necessità sicuramente di molta più accortezza, nel mantenerla operativa, viene utilizzata da mani diverse quasi ogni giorno, su terreni diversi ogni giorno e per poterla utilizzare sempre al meglio deve essere mantenuta in modo dettagliato e corretto. L’operatore premetto “non deve” toccare il presidio con utensili o altre cose che ne compromettano la sicurezza in qualsiasi modo, ma deve avere l’accortezza di riconoscere che la barella di trasporto ha bisogno di una controllo dettagliato, che un pezzo non funziona bene, che ogni “tot” caricamenti deve essere fatta una manutenzione ordinaria, non all’interno, ma da chi ha realizzato il presidio.

Nella mia realtà formativa, ho inserito nella “check list” iniziale il controllo presidi, non solo il controllo “ottico”, ma il controllo funzionale che occupa ben “trenta secondi” a presidio ma alla fine si ha la certezza che ci sia tutto e sia operativo in fase di soccorso, senza nessun tipo di sorprese e mancanza di tutela per il paziente che andiamo a soccorrere.

La formazione tecnica è stata legislata dallo stato in una lettera Stato Regioni, per tutte le figure professionali del soccorso: Medici, Infermieri, Volontari, Autisti Soccorritori, ecc…

La motivazione è semplice, ogni figura in uno scenario difficile o in situazioni dove il “team” di soccorso potrebbe avere difficoltà di qualsiasi tipo, ogni figura “addestrata” presente, potrebbe risolvere i problemi, portando a termine la missione.

Pensate in una “max emergenza”, dove solo i volontari più scaltri, hanno fatto corsi e aggiornamenti all’uso dei presidi, devono lavorare con figure professionali con un grado di preparazione più alto a livello sanitario, ma con una preparazione “scolastica di base” per quanto riguarda le attrezzature tecniche.

Questo sicuramente compromette la sicurezza del paziente e degli operatori.

 

Ultimo accenno alle leggi, il DECRETO LEGISLATIVO 9 APRILE 2008, N. 81, all’articolo 73 (Informazione, formazione e addestramento), scrive: “…il datore di lavoro provvede, affinché per ogni attrezzatura di lavoro messa a disposizione, i lavoratori incaricati dell’uso dispongano di ogni necessaria informazione e istruzione e ricevano una formazione e un addestramento adeguati… Il datore di lavoro provvede affinché i lavoratori incaricati dell’uso delle attrezzature…, ricevano una formazione, informazione ed addestramento adeguati e specifici, tali da consentire l’utilizzo delle attrezzature in modo idoneo e sicuro, anche in relazione ai rischi che possano essere causati ad altre persone.”

Sono 13 anni che viaggio molto per l’Italia in questo stupendo ambiente del volontariato al quale si chiede veramente tanto e meno male che ci sono persone preparate che dedicano molto tempo a questo servizio pubblico, ma ribadisco che utilizzando i presidi tutti in egual modo, quindi in sicurezza, si migliora il servizio, ci si accultura con più facilità e in modo più sicuro e pratico e si può essere fieri di essere dei professionisti del soccorso.

Non aspettate che qualcuno vi organizzi corsi, approfondite il tutto in modo autonomo, vedrete che più cose si sanno, più sarà semplice il da farsi sul luogo dell’evento.

Io sono a disposizione per qualsiasi cosa, anche solo dubbi incertezze o perplessità, scrivetemi in contatti direttamente dal sito, dove ho descritto alcuni seminari tecnici per persone che voglio migliorare le loro capacità manuali e tecniche all’uso dei presidi.

N&A mensile italiano del soccorso · Anno 22° · Vol. 248 · Settembre 2013