L’algoritmo formulato da Brugger et al., approvato dalla CoMed Internazionale della CISA, è un valido aiuto in quei momenti cruciali nei quali, di fronte ad una vittima da valanga priva di funzioni vitali, si deve sciogliere quell’angosciante dubbio se decidere di continuare nell’iter terapeutico volto al suo recupero (ogni uomo non è morto finchè non è caldo e morto) o se decretarne la morte. Il rinvenimento di una cavità , anche molto piccola, davanti la bocca è l’elemento fondamentale per escludere una morte da asfissia. In questi casi il pz non è subito anossico ma solo ipossico. La grandezza della cavità unitamente alle caratteristiche della neve e alle caratteristiche individuali del soggetto determinano un grado variabile, anche se pur sempre ingravescente, di ipossia. Parimenti e inversamente, lo spazio limitato in cui respirare non permette un wash-out dell’anidride carbonica che in breve tempo, aumentando nel sangue (ipercapnia), determina la perdita di coscienza. Tutto ciò unitamente alla temperatura e al tipo di neve e alla protezione termica del travolto determina un rapido crollo della temperatura interna (fino a 8°C/h).
Col diminuire della temperatura interna le funzioni vitali si “spengono” fino a cessare completamente al di sotto dei 24°C. Si può supporre in questi casi che l’ipotermia possa preservare o quantomeno ridurre i danni, per un certo periodo di tempo, provocati dall’asfissia che s’instaura più lentamente. Pertanto, di fronte al rinvenimento di un travolto da valanga privo di funzioni vitali dopo 35’ dall’inizio del seppellimento ma soprattutto in presenza di una cavità aerea davanti la bocca ed in assenza di evidenti traumi incompatibili con la vita, bisogna supporre che ci si trovi di fronte ad una “3H syndrome” (Hypossia, Hypercapnia, Hypothermia). Tale condizione clinica esige un trattamento intensivo con opportune metodiche di riscaldamento interno. Il paziente deve essere considerato ancora “vivo”, fino a prova contraria (riscaldamento avvenuto), ma in uno stato di “morte apparente” per ipotermia severa. La sfida per il medico dell’emergenza è quindi individuare, trattare ed iniziare le procedure che mirano al recupero di quanto, talvolta, sembra irrecuperabile. Pertanto sarà indispensabile iniziare le manovre rianimatorie con intubazione oro-tracheale e Massaggio Cardiaco Esterno (MCE) monitorando l’attività cardiaca e la T° interna con sonda esofagea. Il massaggio cardiaco dovrebbe essere intrapreso appena le manovre di disseppellimento lo permettono e continuato senza interruzione fino a collegamento con la circolazione extracorporea (CEC). Le operazioni d’imbarco in elicottero possono essere un indiscutibile ostacolo alla continuità delle manovre rianimatorie.
Il posizionamento di un catetere venoso centrale è fattibile se non comporta un rallentamento del trasporto in ospedale. In caso di presenza o insorgenza di Fibrillazione Ventricolare (FV) è consigliato erogare al massimo 3 shock (100J-200J-360J). Se al terzo tentativo permane FV si continua con MCE fino in ospedale evitando ulteriori tentativi. Il cuore fortemente ipotermico, infatti, è spesso refrattario alla defibrillazione. In questi casi i farmaci hanno efficacia scarsa o nulla; si può creare inoltre accumulo in circolo con effetto rebound durante il riscaldamento. La loro utilità è quindi dubbia. Da non sottovalutare l’isolamento termico del paziente, perché dal momento del disseppellimento la temperatura interna continuerà a scendere con maggior velocità. Torna utile l’uso di teli termici e coperte mentre vanno evitati presidi per il riscaldamento esterno. Una volta iniziate le manovre rianimatorie dovrà essere confermata dalla C.O.118 del territorio in cui si sta operando, l’attivazione del centro di CCH di riferimento (già pre-allertato). Nel caso in cui, per motivi logistici, non sia possibile raggiungere direttamente l’ospedale più idoneo, si deve trasportare la vittima all’ospedale più vicino per la determinazione della Kaliemia, sempre continuando la rianimazione.
Con valori di Potassio superiori a 12 mEq/l la rianimazione può essere sospesa mentre dovrebbe essere continuata fino al raggiungimento di un ospedale con CEC, se si riscontrano valori inferiori. Per quanto attiene al trattamento del sepolto da valanga oltre i 35’ ,ma con almeno attività cardiaca ancora presente, vanno ricordati alcuni aspetti che possono far precipitare la già critica situazione clinica. In presenza di una T° < 30°C è facile l’insorgenza di aritmie (FV, BEV, FA) nella fase di disseppellimento. La delicatezza dell’estricazione evita che sangue periferico più freddo giunga al cuore, evenienza che, oltre a ridurre ulteriormente la temperatura interna, ha un potere altamente aritmogeno. Altro fattore scatenate le aritmie può essere l’intubazione oro-tracheale. E’ quindi fondamentale intraprendere il monitoraggio cardiaco già durante le manovre di liberazione del corpo dalla neve, ricordando che le aritmie in ipotermia non sono trattabili farmacologicamente. Il paziente che conservi ancora attività respiratoria può andare incontro ad un improvviso arresto respiratorio durante il disseppellimento.
Verosimilmente l’iniziale risposta iperventilatoria legata all’ipercapnia e all’ipossia viene inibita nel momento in cui il paziente, liberato dalla neve, respira nuovamente in normossia. Infine il sepolto da valanga per un tempo inferiore a 35’ non presenterà problematiche legate all’ipotermia ma piuttosto all’asfissia “acuta” ed al trauma. Il management sarà riconducibile, pertanto, al trattamento dell’arresto cardio-respiratorio secondo i dettami dell’ACLS o dell’ATLS in caso di funzioni vitali presenti. Si dovrà attuare, comunque, un completo monitoraggio delle funzioni cardio-respiratorie e una valutazione almeno iniziale della T° che difficilmente sarà inferiore ai 32°C. I trattamenti eseguiti sul territorio al paziente in verosimile stato di morte apparente hanno lo scopo d’interrompere la noxa patogena (asfissia e raffreddamento) ma non permettono di certo il recupero del paziente dal punto di vista funzionale, perché la vera terapia, il vero recupero del paziente è intraospedaliero. Il nostro obiettivo è l’accorciamento del gap temporale che intercorre fra l’evento e il disseppellimento e fra quest’ultimo e l’inizio del trattamento dell’ipotermia, possibile solo con le complesse tecnologie presenti in centri specialistici dotati di Cardiochirurgia e Rianimazione.
Patologia da valanga Dr. Fabrizio Spaziani Anestesista-Rianimatore Elisoccorso Bellunese Medico CNSAS
II Delegazione Bellunese – Veneto La rapidità del soccorso è l’elemento cruciale della sopravvivenza in valanga. L’autosoccorso è senz’altro la forma più valida e risolutiva dell’evento ma spesso è fondamentale il supporto del soccorso organizzato e l’elisoccorso in questi casi è l’unica risorsa che garantisce una reale tempestività d’intervento. Operare celermente per recuperare un sepolto da valanga significa scongiurarne la morte che, nella maggior parte dei casi, sopraggiunge per asfissia. Non sono rare, però, le volte in cui, intervenendo più tardivamente per fattori non dipendenti dalla nostra volontà, ci si trova di fronte ad una vittima che non ha evidenza di traumi incompatibili con la vita e soprattutto non ha evidenza di asfissia (presenza di cavità aerea davanti la bocca e/o prime vie respiratorie libere). In questa evenienza il sospetto di essere davanti ad un caso d’ipotermia severa in stadio IV con arresto cardiaco anche protratto, quindi di un probabile stato di morte apparente, è forte e impone delle scelte terapeutiche e organizzative ben precise, finalizzate al recupero del paziente.
Dal momento che le variabili ambientali sono tante ed a volte non facilmente quantificabili, mentre l’esperienza è sempre relativamente scarsa (anche se spesso ci si illude di averne tanta!), non è affatto facile stimare e prevenire la possibilità del distacco di una valanga e quindi evitare di esserne travolti . La ricerca tecnica attuale volge quindi allo sviluppo della protezione passiva da seppellimento di valanga studiando soprattutto dispositivi in grado di modificare i fattori che influiscono su quella che è la principale causa di morte: l’asfissia. Tra questi il tempo e la profondità di seppellimento sono elementi fondamentali. Dispositivi come l’”ARVA” e il “K2 avalanche ball” riducono il tempo di seppellimento facilitando l’individuazione del sepolto, mentre l’”ABS Air-bag” e l’”Avagear” riducono la profondità del seppellimento abbreviando quindi il tempo di disseppellimento.
A questi si aggiunge l’”Avalung” che allunga il tempo di sopravvivenza sotto la valanga. Tutti i dispositivi citati, quindi, agendo sul fattore temporale, sono fondamentali per limitare l’effetto lesivo dell’asfissia e, di pari passo, dell’ipotermia. Quest’ultima s’instaura molto rapidamente in valanga ma è raramente causa di morte. Quando si interviene tardivamente (oltre i 35 minuti dal travolgimento) è possibile trovare il paziente in uno stato d’ipotermia severa (III o IV stadio), che può essere considerato come un “effetto collaterale” legato all’inevitabile trasferimento di calore fra due corpi di diversa temperatura che vengono a contatto. L’ipotermia è per il medico soccorritore una sorta di barriera che offusca la reale situazione clinica, celando tutti quegli indizi che permetterebbero una diagnosi differenziale fra una morte reale e una morte apparente.
E’ necessario formulare preventivamente dei piani d’intervento volti all’attivazione immediata delle strutture e del personale coinvolti in questa “catena” di soccorso. Tali piani dovrebbero essere conosciuti e condivisi soprattutto dagli operatori dell’elisoccorso (medici e infermieri) perché sono quelli che devono attivare, eventualmente, la procedura. Il soccorso in valanga è comunque raro anche in zone turistiche abbastanza frequentate e spesso quello che manca a tutti coloro che operano è l’informazione e l’esperienza. Fondamentale al riguardo, come raccomandato anche dalla CISA IKAR, è lo sviluppo di una maggiore sensibilità per la formazione e l’addestramento del personale operante. Altre sono poi le sfide che si profilano per il trattamento ospedaliero mirato non solo al recupero del vita del paziente ma anche alla massima riduzione dei danni derivati dall’ipossia e/o anossia. In questi casi le modalità di riscaldamento per il grado IV d’ipotermia sono universalmente accettate (CEC). Si sta valutando l’applicabilità del riscaldamento attivo interno anche a livelli d’ipotermia di grado III in presenza, però, di una valida attività di circolo. Si vedrà inoltre se il trattamento con ipotermia lieve del paziente in coma post-anossico da arresto cardiaco, attualmente in fase sperimentale, potrà essere applicato anche al travolto da valanga.
In conclusione, il soccorso in valanga solleva molte problematiche legate all’eccezionalità dell’evento, all’ostilità ambientale, ma anche alla mancanza d’indizi precisi sulla patogenesi di una clinica che spesso appare non chiara ed evidente. Inoltre la consapevolezza dell’importanza del fattore tempo può indurre a valutazioni e scelte frettolose e, per questo, erronee. La formazione, l’addestramento, l’utilizzo di semplici ma precisi algoritmi di management, la pianificazione di procedure che disciplinino l’interazione tra le varie unità operative coinvolte nella catena del soccorso costituiscono i punti di forza di questa particolare emergenza sanitaria
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